Nella scherma ch’è sport in cui non esiste pareggio può succedere che da una finale non esca fuori nessuna sconfitta. Perché “l’amicizia vale più d’una vittoria”, parole (commosse) di chi ha vinto. E perché “non provare a vincere, dinanzi a un’avversaria, ch’è prima di tutto un’amica, infortunatasi, è la cosa più giusta che ho pensato di fare, e la rifarei altre mille molte”, le fa eco chi non ha vinto, e però neppure perso.
È la storia speciale, resa tale da due ragazze speciali a propria volta, d’un sabato in pedana che racconta l’essenza dello sport, e dei valori che la scherma incarna, afferma e diffonde.
Vercelli, Campionati Italiani Under 23. Finale di spada femminile. Gaia Traditi – Fiamme Oro Roma – ed Emilia Rossatti – Accademia Bernardi Ferrara – si giocano il titolo tricolore, e pure un posto sicuro all’Europeo di categoria del prossimo maggio a Budapest. È un match lungo, che si prenderà tutti i 9 minuti effettivi per scrivere il suo verdetto. Gaia lo conduce sul 12-9 quando, a 17 secondi dalla fine, mentre indietreggia per tenere la pressione dell’avversaria che tenta la rimonta, frana in terra su un appoggio atroce del piede. E in quell’istante sente girare tutto: la caviglia, l’assalto e pure i suoi sogni. Emilia è la prima a correrle incontro. Prima del medico di gara. Prima dei maestri. Gaia solleva la maschera, con gli occhi già gonfi dalle lacrime del dolore. Quelle che non solcano il volto, ma che le scorrono dentro, da fuori possono esser soltanto intuite.
Era la prima testa di serie del ranking, Gaia. È stata la numero 1 dopo la fase a gironi. Con un percorso netto è arrivata all’ultimo atto e ora sta vedendo quel titolo, che un istante fa già pareva stretto tra le mani, sbriciolarsi come un pacchetto di crackers calpestato dalla cattiva sorte. Il regolamento dà 5 minuti di tempo per l’intervento medico. Pure quelli densi, (stra)pieni di significati. Gaia che affida la caviglia ai medici, con il suo maestro Daniele Pantoni sempre accanto. Emilia che attende. Potrebbe farlo, come spesso in questi casi si fa, quando ti ritrovi spettatrice d’un destino ch’è sì tuo ma dipende “da altro”, guardando i punti indefiniti nel vuoto che con disinvoltura si fissano, per esempio, quando “accorci” la fila perché sai dove andare mentre chi ti è davanti temporeggia e “perde il turno” anche se non vorrebbe. Invece non abbassa mai gli occhi, Emilia. Li tiene puntati su Gaia. Come per non lasciarla sola. E per capire. Non sente il suo stesso dolore, però ne condivide l’umanissimo tormento che lo sport che ami può riservarti. Rischi del mestiere, vi diranno quelli che hanno una gelida risposta a tutto.
Il cronometro scorre, e quando la clessidra sta per buttar giù gli ultimi granelli di sabbia, Emilia condivide con Riccardo Schiavina, il suo maestro, la decisione più nobile e coraggiosa che in quel momento possa essere presa.
Gaia s’è rialzata. Si regge in piedi a fatica ma il fuoco che ancora le arde dentro brucia più del dolore. Mancano 17 secondi d’assalto. Che nella vita sono un soffio, e però nella spada possono essere un’eternità. Il pubblico che di questo film non ha intuito il finale – meno scontato e più bello, che sta per andar in scena – si sfrega le mani immaginando gli effetti speciali sui titoli di coda: Gaia infortunata a difesa del fortino, per blindare il tesoro di tre stoccate di vantaggio, è durissima ma può farcela, ed Emilia all’attacco per provare un ribaltone adesso non soltanto possibile, forse persino probabile.
Nulla di tutto ciò. Sui titoli di coda non ce n’è una, di stoccata, né il rumore d’una lama che sfiori l’altra. Emilia ha deciso che non è giusto gettarsi all’attacco. Avrebbe potuto provarci, magari riuscirci, e semmai “senza esultare” come fanno apprezzati bomber del calcio dopo i gol dell’ex sotto le Curve che un tempo cantavano per loro. Ha scelto altro. Non per “compassione”, ma per lealtà. Riconoscendo alla sua avversaria il merito di quanto fatto fin quando s’è tirato alla pari.
E così, al “pronte, a voi”, Emilia indietreggia, scioglie misura. Gaia piange ancora, e stavolta non più (solo) per il dolore. L’applauso del pubblico accompagna i secondi che scorrono. La “non combattività” più bella che la scherma potesse raccontare. Standing ovation!
“Alt, tempo scaduto”, l’arbitro Francesca Calabrò annuncia il verdetto. È finita 12-9. Lo stesso punteggio dell’attimo dell’infortunio di Gaia. Per il tabellone il mondo è rimasto com’era, e però per chi è lì, e per chi quei minuti li ha visti in streaming, d’improvviso sembra più bello.
Gaia ed Emilia si abbracciano. Piangono entrambe. Il Presidente federale Paolo Azzi e il Vice-vicario Maurizio Randazzo le vanno incontro. “Grazie, ragazze! La scherma emoziona sempre. Stavolta fa pure commuovere”, dicono. Anche i due maestri si stringono forte. Commossi pure loro. Non è una banalissima piazza del pianto, è l’epilogo genuino e naturale d’un pomeriggio di rara e autentica intensità.
Sul podio le lacrime diventano sorrisi. I brividi restano. E le consapevolezze pure. Gaia indica Emilia e dice che “non so come ringraziarla”. Emilia guarda il suo maestro sottolineando che “questa decisione, così giusta e importante, l’ho presa con lui”. Riccardo annuisce, e a chi gli fa i complimenti sorride dicendo che “la scherma è una cosa, ma volersi bene ne è un’altra”. Eppure, maestro, stavolta son state proprio la stessa cosa. E ce l’avete dimostrato voi!
(foto Andrea Trifiletti/Bizzi Team)